Il significato della crisi di Cipro

Il significato della crisi di Cipro

di Martin Wolf
pubblicato sul Financial Times del 20 marzo 2013
traduzione e note di Synesis Capital

Un cammello, si dice, è un cavallo disegnato (male) da una commissione (europea).
È una battuta ingenerosa verso i cammelli, che sono animali ben adattati al loro non facile habitat.
Lo stesso, ahimè, non si può dire per i programmi di salvataggio dell’Eurozona. L’intervento proposto a Cipro, che ieri è stato respinto dal Parlamento di Nicosia, non aiuterà Eurolandia a uscire senza traumi dalle sue crisi a catena. Anzi, questo pasticcio è l’esempio più eclatante di come non devono essere gestiti i problemi del settore finanziario e del debito sovrano.

Cominciamo dal perché era inevitabile una ristrutturazione del settore bancario cipriota.
Il governo di Cipro è al tempo stesso fortemente indebitato e responsabile (in via implicita, ndr) di un settore bancario indiscutibilmente troppo grande per essere salvato.
Secondo il Fmi, il debito pubblico l’anno scorso ha raggiunto l’87% del prodotto interno lordo, e anche senza il peso del salvataggio sarebbe arrivato nel 2017 comunque al 106% (a causa del deficit di spesa corrente, ndr). Il merito di credito del Governo dell’isola è largamente al di sotto del livello di affidabilità per gli investitori: Standard & Poor’s assegna ai titoli di Stato di Cipro il rating di CCC+. Non c’è da stupirsi, dato che il settore bancario detiene attività per oltre sette volte il Pil dell’isola (sul rating del debito pubblico cipriota pesa cioè la garanzia implicita al settore bancario, ndr).
Le banche a Cipro sono a un passo dal tracollo (all’origine del tracollo ci sono le pesanti perdite sui titoli di stato greci, nei quali avevano investito; tali perdite hanno eroso il già limitato capitale netto delle banche cipriote, ndr). Ma è la Banca Centrale Europea che ha staccato la spina minacciando di non accettare i titoli di Stato ciprioti come garanzia per un supporto di liquidità. Le banche devono ora essere ricapitalizzate, e non è possibile addossare l’onere solamente al contribuente cipriota, attraverso il bilancio pubblico.
(NB: leggendo il resto dell’articolo, attenzione a non confondere e sovrappore la figura del “contribuente” e quella del “depositante”; il contribuente è solo cipriota, mentre tra i depositanti rientrano anche i tanti soggetti esteri che hanno depositato/prestato soldi alle banche cipriote, attratti dagli alti tassi di interesse che queste offrivano. L’intervento di salvataggio attraverso il bilancio pubblico, come per Monte Paschi, addossa l’onere solo sul “contribuente”; mentre il prelievo sui depositi sposta l’onere del salvataggio anche su soggetti esteri, ndr).
In assenza di un prelievo sui depositi, il pacchetto di misure di salvataggio sarebbe ammontato a 17,2 miliardi di euro, invece di 10 miliardi, ossia quasi il 70% del Pil. In questo modo il debito pubblico sarebbe arrivato grosso modo al 160% del Pil (87%+70% circa, ndr), un fardello insostenibile.
In realtà anche il salvataggio attuale sembra insostenibile, perché porterebbe il debito, a quanto sembra, al 130% del Pil. Secondo il programma, il debito pubblico cipriota dovrebbe scendere entro il 2020 al 100% del Pil: per riuscirci servirà una drastica stretta sui conti pubblici e prestiti al Governo dell’isola a condizioni accessibili. Resta comunque verosimile la prospettiva di una ristrutturazione del debito pubblico.
Come dice Amleto: se non sarà ora, sarà dopo.

Ma esiste un’alternativa a questo pacchetto di salvataggio ?
(ma solo in teoria, ndr) : una ricapitalizzazione diretta delle banche da parte dell’Eurozona (per cui la somma necessaria sarebbe cosa da poco). Se l’ “Unione Bancaria” fosse già stata pronta e funzionante, è quello che sarebbe successo. Ma non è così, presumibilmente perché i Paesi del nocciolo duro non vogliono essere costretti a intervenire in soccorso di sistemi bancari malgestiti, come quel rifugio offshore per capitali russi che è di fatto il sistema bancario cipriota. L’unione bancaria non arriverà prima che venga fatta piazza pulita degli errori passati e prima che vengano creati nuovi meccanismi.

E allora torniamo alla domanda se il pacchetto di salvataggio proposto sia giusto.
La risposta è sì, ma solo fino a un certo punto.
Molti insistono sul fatto che qualsiasi prelievo sui depositi sia un furto.
Questa è una sciocchezza: una banca non è un forziere. Una banca è un gestore di capitali (altrui), con un limitatissimo capitale proprio, che fa una promessa, quella di restituire ai depositanti i loro soldi su richiesta e secondo il loro valore: promessa che non sempre può essere mantenuta senza l’assistenza di uno Stato solvente. Chiunque presta denaro alle banche dev’essere consapevole di questo. È inconcepibile che le banche – un’attività d’impresa che comporta dei rischi – possano operare senza alcun rischio di perdite, almeno per alcune categorie di prestatori. Se così fosse, il debito delle banche non sarebbe altro che debito dello Stato. Ma non si può consentire che un’attività privata giochi d’azzardo in questo modo con i soldi dei contribuenti, questo è evidente (fenomeno definito in finanza come “azzardo morale”, ndr).

La domanda, allora, non è (in linea di principio) se i prestatori/depositanti possano subire delle perdite. La domanda è quali di loro devono subirle, e in quale misura. Su insistenza, a quanto sembra, del presidente cipriota Nicos Anastasiades, le perdite avrebbero dovuto ricadere anche sui depositi con meno di 100.000 euro, cioè al di sotto del limite massimo fissato per la garanzia sui depositi nell’Eurozona. L’idea è di tassare questi depositi più piccoli al 6,75%, e quelli più grandi al 9,9%. Questa misura ora potrebbe cambiare, e per ragioni più che valide. Ma non toccare i depositi più piccoli vorrebbe dire alzare al 15% il prelievo sui depositi al di sopra dei 100.000 euro, per raccogliere i 5,8 miliardi di euro necessari. Una cosa corretta, a mio parere (come viene spiegato più avanti , ndr). Ma il Governo russo non è d’accordo. E neanche quello di Cipro.
Un grosso interrogativo che si pone è per quale motivo il normale contribuente cipriota dovrebbe salvare le banche. Senza intervento statale e con la piena protezione dei depositi al di sotto dei 100.000 euro, il prelievo sui depositi più grandi (calcolando gli 1,4 miliardi di euro per liquidare i creditori di secondo grado) salirebbe molto di più. Ingiusto? No.
Eventualmente, l’unico argomento spendibile per evitare di addossare solo ai depositanti più grandi l’onere della crisi è che il Governo, in quanto rappresentante dei contribuenti, ha creato un sistema finanziario pericoloso, perciò tutti i contribuenti devono accollarsi una parte dei costi.

In ogni caso, i piani di salvataggio creano pericoli e distorsioni. Le misure in discussione sono un gioco d’equilibrismo fra quelli che temono di creare altro panico e gli altri che vogliono a tutti i costi affrontare il nodo dell’«azzardo morale». Il risultato può essere il peggio di entrambe le alternative. Spremere i depositanti rischia di scatenare assalti agli sportelli in altri Paesi. Al contempo, i contribuenti sopportano comunque una parte importante del costo dei fallimenti.
Tutto questo suscita grossi timori.
Il primo riguarda l’accordo stesso. La decisione di imporre delle perdite (sì, è un default, non una tassa) sui depositi garantiti è un grosso errore.  Ma la decisione di chiamare a concorrere certi depositi (quelli oltre i 100mila euro, ndr) non è un errore. Per quanto impopolare possa essere, è indispensabile un sistema di risoluzione delle crisi bancarie che trasformi questa cosa in realtà, a Cipro e non solo (ovvero, stai attento a quanto solvibile è la banca presso la quale depositi i tuoi soldi, ndr). Un altro timore è legato al fatto che la tassa colpisce indiscriminatamente, senza distinguere tra banca e banca, disincentivando perfino gli operatori professionali a monitorare la solvibilità del loro istituto (con un prelievo sui depositi generalizzato a tutto il sistema bancario, vengono colpiti anche coloro che hanno depositato presso le banche sane, ndr).
Ma il timore più grande viene da The Banker’s New Clothes, il libro di Anat Admati di Stanford e Martin Hellwig del Max Planck Institute, che ho recensito questa settimana. Le banche hanno una capacità di assorbimento delle perdite talmente limitata che sono sempre sull’orlo del disastro (cioè dovrebbero avere più capitale proprio ed operare con multipli inferiori di leva finanziaria, ndr).
Il caso cipriota è un esempio estremo in tal senso: oltre a una piccola quantità di patrimonio netto, i 68 miliardi di euro di depositi erano protetti solo da obbligazioni subordinate per 2,7 miliardi (2,5 miliardi di TIER II e 200 milioni di TIER I, vedi grafico). Giustamente o no, le obbligazioni ordinarie, inclusi i prestiti interbancari, sono giudicate intoccabili (cioè allo stesso livello di protezione dei depositi, ndr). Questa struttura mette le autorità, non solo a Cipro, ma praticamente ovunque, di fronte a un terribile dilemma: salvare tutte le banche, convalidando in questo modo i modelli di business più rischiosi e, nella peggiore delle ipotesi, mettendo a rischio la solvibilità dei Governi; oppure rifiutarsi di salvarle (smettendo così di alimentare l’ “azzardo morale”, ndr), ma in questo modo rischiare di scatenare una depressione in patria e panico all’estero, specialmente all’interno di un’area fortemente integrata come l’Eurozona.
L’Eurozona deve rendere il settore bancario molto più robusto, incrementando enormemente i requisiti patrimoniali, oppure deve mettere insieme i bilanci degli Stati e irrigidire la regolamentazione, per garantire una vigilanza adeguata su tutta l’Eurozona e un adeguato supporto da parte delle finanze pubbliche. La cosa spaventosa non è che la minuscola Cipro sia finita nei guai, ma che dalla minuscola Cipro nascano pericoli più ampi. Le banche sono pericolose ovunque, ma in Eurolandia continuano a costituire una minaccia per la sopravvivenza. Tutto questo deve cambiare, e molto in fretta.

Per quanto l’impostazione dell’autore possa ad alcuni apparire alquanto “comunista” (ovvero addossare ai depositi più grandi il costo del salvataggio), essa in realtà rientra nella logica di un’ economia di mercato, ovvero :
– rispetto delle regole previgenti, sulle quali gli operatori di mercato hanno basato le loro valutazioni (nella fattispecie, quella della garanzia sui depositi);
– stabilità del sistema (la garanzia sui depositi minori evita la corsa agli sportelli e quindi il collasso del sistema);
– rispetto della relazione fondamentale rischio/rendimento, soprattutto per gli operatori professionali (se sei Deutsche Bank e fai un prestito interbancario all’8% ad una banca cipriota, non puoi pretendere che il tuo credito sia tutelato allo stesso modo del c/c di una vecchietta …)

Aggiornamento 25 marzo 2013 – L’accordo raggiunto nella notte tra Cipro e la troika (Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale) va nella direzione indicata dall’Autore dell’articolo, ovvero:

– concentrarsi solo sulle banche insolventi, non in modo generalizzato su tutti i depositanti;
– tra i depositanti, applicare la garanzia europea per i conti inferiori ai 100mila euro.
– chiudere o costringere alla fusione le Banche insolventi.

La vicenda dunque è stata tratta come un caso di default, da risolvere in prima battuta con i normali meccanismi di liquidazione delle banche in crisi, e solo in seconda battuta con oneri a carico dello Stato. Questo sposta l’onere della risoluzione della crisi soprattutto sui grandi deposistanti esteri, che all’inizio il governo cipriota voleva tutelare (a scapito dei propri contribuenti).